La Corte di cassazione, con sentenza n. 1946, depositata il 23 gennaio, traccia il perimetro sulla sanzionabilità dell’amministratore di fatto, stabilendo che, in caso di società di capitali, non basta il ”semplice” utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, ma occorre la prova che tale utilizzo abbia prodotto benefici personali per l’amministratore di fatto e non a favore della società, come nel caso delle società “cartiere”, prive di sostanza economica, in quanto mero strumento fittizio (la società) attraverso cui l’amministratore di fatto consegue dei profitti illeciti.

Nel caso di specie, la società utilizzatrice delle fatture (soggettivamente) inesistenti risultava a tutti gli effetti operativa.

Pertanto, prosegue la Suprema Corte, l’amministrazione finanziaria deve provare, anche attraverso presunzioni, che la società non sia “vera” o che rappresenti uno strumento architettato al solo scopo di mascherare i reali interessi del dominus, sanzionando unicamente quest’ultimo.

Non si può, in sostanza, sanzionare entrambi.

La Corte, accogliendo la tesi del ricorrente, cassa la sentenza e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di II grado della Lombardia, anche per la liquidazione delle spese di giudizio.

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