La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 13655 del 18/05/2023, ha stabilito che per applicare la normativa sul trasferimento di un ramo d’azienda, deve trattarsi di un’entità economica organizzata che mantenga la sua identità dopo il trasferimento.

La vicenda trae origine dalla richiesta di accertamento della nullità della cessione di ramo d’azienda (banca), che coinvolgeva, tra l’altro, alcuni dipendenti “trasferiti” col “ramo”, i quali richiedevano la reintegra nel posto di lavoro precedentemente occupato (prima della cessione di ramo di azienda).

Secondo gli ermellini, l’entità produttiva deve essere autonomamente funzionale e preesistente, non può essere creata durante il trasferimento o identificata solo dalle parti coinvolte.

Così come non può essere usata per espellere porzioni non coordinate dell’azienda o reparti non autonomi, magari unificando beni e lavoratori solo in sede di trasferimento. Inoltre, se manca un’entità economica autonoma e obiettiva, la disciplina prevista dalla legge sul trasferimento non può essere applicata ai rapporti di lavoro (art. 2112 c.c.).

La Suprema Corte ha anche affermato che tale pratica sarebbe in netto contrasto con le norme comunitarie e i principi costituzionali, che richiedono l’esistenza di una struttura economica già stabilita prima del trasferimento.

Infine, con riferimento all’articolo 2103 del Codice civile (Prestazione lavorativa-trasferimento), ribadisce che il reinserimento del dipendente deve avvenire nella sede e nelle mansioni precedenti. Tuttavia, è possibile trasferire il dipendente a un’altra unità, ma vanno provate (da parte del datore di lavoro) le reali, valide ragioni tecniche, organizzative e produttive per il cambiamento di sede.

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