Il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti, previsto dall’articolo 2 del Dlgs 74/2000, non distingue tra inesistenza oggettiva o soggettiva dell’oggetto del contratto.
In altre parole, ogni divergenza tra realtà commerciale e sua espressione documentale può essere sanzionata penalmente e comporta rilevanza ai fini delle imposte dirette.
La Corte di Cassazione, con sentenza III Sezione Penale del 10 maggio 2023 n. 19595, ha precisato che la fittizietà dell’oggetto del contratto, che consente la deduzione di costi altrimenti non deducibili, comporta la rilevanza del reato anche ai fini delle imposte dirette.
Nel caso oggetto di sentenza, si trattava di un contratto di appalto che celava un’illecita somministrazione di manodopera.
In tali casi, l’utilizzo della fattura che dissimula una diversa prestazione consente la deduzione di costi fittizi e, di conseguenza, comporta significative conseguenze fiscali per la società.
La decisione della Cassazione sembra attribuire rilievo alle conseguenze fiscali delle simulazioni contrattuali, in particolare ai fini dell’Irap. Infatti, il costo della manodopera, anche somministrata, è indeducibile ai fini Irap, mentre con un contratto (regolare) di appalto, lo stesso costo sarebbe deducibile.
Di conseguenza, la somministrazione irregolare di manodopera comporta un beneficio fiscale indebitamente conseguito.
La sentenza in commento conferma la rilevanza dei reati di dichiarazione fraudolenta, mediante uso di fatture per operazioni inesistenti, anche ai fini delle imposte dirette e ribadisce le pesanti conseguenze in ordine alla rilevanza penale di tali illeciti, indipendentemente dalla soggettività o meno delle fatture inesistenti.

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