Il 2025 segnerà un punto di svolta per la gestione fiscale delle auto aziendali concesse ad uso promiscuo, ovvero utilizzabili dai dipendenti sia per lavoro che per scopi personali. Il nuovo disegno di legge di Bilancio introduce criteri di calcolo rivisti per il benefit derivante da questo tipo di veicoli, puntando alla transizione ecologica, ma con conseguenze non sempre vantaggiose per tutti gli attori coinvolti.

Il sistema attuale, regolato dal Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR), lega il valore del benefit al costo chilometrico determinato dalle tabelle ACI, su una percorrenza convenzionale di 15.000 chilometri annui. La percentuale applicata varia a seconda delle emissioni di CO2 del veicolo, con l’obiettivo di incentivare l’uso di modelli meno inquinanti.

In sintesi:

  • Auto con emissioni sotto i 60 g/km: aliquota del 25%.
  • Tra 60 e 160 g/km: 30%.
  • Da 160 a 190 g/km: 50%.
  • Oltre 190 g/km: 60%.

Le novità all’orizzonte

Dal 1° gennaio 2025, se confermato il testo in discussione parlamentare, la tassazione del benefit non sarà più basata sulle emissioni di CO2, ma sulla tipologia di alimentazione del veicolo. Le nuove percentuali previste sono:

  • 10% per auto completamente elettriche.
  • 20% per veicoli ibridi plug-in.
  • 50% per auto con motore tradizionale o ibrido non plug-in.

Questo approccio modifica radicalmente l’attuale scenario: mentre i veicoli elettrici ottengono un beneficio fiscale significativo, le auto a basse emissioni non elettriche saranno soggette a una tassazione molto più alta rispetto all’attuale regime.

Un aspetto singolare della proposta in commento, forse non considerato, finisce col favorire i veicoli con emissioni superiori a 190 g/km, oggi tassati al 60%, che scenderebbe al 50%, rischiando di compromettere l’obiettivo di incentivare la sostenibilità.

Se tale previsione fosse confermata, le auto con emissioni tra 60 e 160 g/km, molto comuni tra le flotte aziendali, vedranno raddoppiare la percentuale applicata, passando dal 30% al 50%. Questo comporterà un aumento sostanziale degli oneri fiscali sia per i dipendenti che per le aziende.

Oltretutto, il passaggio a veicoli elettrici o ibridi plug-in richiede investimenti significativi e un’infrastruttura di ricarica adeguata.

E le auto già assegnate?

Sul punto non pare siano previsti particolari “distinguo”. In assenza di una clausola di salvaguardia, queste vetture potrebbero essere soggette a un regime fiscale meno favorevole, basato sui costi effettivi di noleggio, carburante e manutenzione e non sui valori convenzionali, che inevitabilmente porterebbe a un ulteriore aggravio per i lavoratori, con effetti potenzialmente disincentivanti sull’uso delle auto aziendali.

Le nuove regole, se confermate, pur se lodevoli nell’intento “dichiarato” di favorire la sostenibilità ambientale, potrebbero avere effetti collaterali significativi per il settore automotive, con un mercato già in crisi. Infatti, l’aumento dei costi potrebbe dissuadere le aziende dal concedere auto aziendali come benefit, penalizzando ulteriormente la domanda.

Si aggiunga che le auto ecologiche, concesse prima del 2025, rischiano di diventare meno competitive rispetto ai veicoli immatricolati successivamente, scoraggiando la transizione verso modelli sostenibili.

Ebbene, incentivare l’adozione di veicoli ecologici è assolutamente condivisibile, ma l’attuale impostazione della riforma andrebbe profondamente rivista, alla luce delle incongruenze che rischiano di gravare eccessivamente su lavoratori e aziende. Un ripensamento, con l’introduzione di misure correttive come una clausola di salvaguardia, è assolutamente auspicabile.

Autore: Luigi Romano

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