Il confine, talvolta sottile, relativo alla prescrizione dell’accertamento per la compensazione di crediti d’imposta inesistenti rispetto a quelli non spettanti è stato oggetto in questi anni di varie pronunce giurisprudenziali, talvolta discordanti tra loro.  

In relazione ai primi (crediti inesistenti), sostanzialmente infondati e creati artificiosamente, la legge prescrive che “l’atto vada notificato a pena di decadenza entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello in cui è avvenuta la compensazione.

Per i crediti non spettanti, dove in sostanza vi è un errore nella qualificazione o quantificazione dello stesso, la norma stabilisce che “gli avvisi di accertamento devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione”.

Spesso però sono stati “etichettati” come inesistenti anche crediti non spettanti, generando un ingiustificato “allungamento” della prescrizione per l’accertamento di tali crediti d’imposta male calcolati (in buona fede).

A fare chiarezza è intervenuta la Corte di Cassazione – Sezioni Unite, con sentenza 11/12/2023, numero 34452, stabilendo che il credito è sempre non spettante quando la mancanza degli elementi costitutivi dello stesso è potenzialmente riscontrabile con le procedure di controllo automatizzate.

Ma veniamo ai fatti di causa, riportando i punti salienti ed evitando di entrare in tecnicismi che potrebbero essere non comprensibili ai non addetti ai lavori.

Un contribuente proponeva ricorso in Commissione Tributaria Provinciale avverso un atto di recupero, emesso dall’Agenzia delle Entrate, per indebita compensazione di crediti d’imposta.

Il contribuente, soccombente in primo grado, ricorreva in appello, con accoglimento parziale del ricorso.

Approdato in Cassazione, in fase di giudizio, è emerso un contrasto di giurisprudenza riguardo ai termini di prescrizione dell’azione di accertamento da parte dell’Amministrazione. Il procedimento è stato rinviato alle Sezioni Unite per l’individuazione di un principio di diritto uniforme applicabile ai casi futuri.

La sentenza in commento si basa su una netta distinzione tra due categorie di crediti: i crediti inesistenti e i crediti non spettanti. I crediti inesistenti presentano una patologia più accentuata, consentendo all’Amministrazione di beneficiare di un termine di prescrizione più lungo, fissato a 8 anni, per esercitare un’azione di accertamento più efficace.

Affinché un credito rientri in questa categoria (inesistenza), è necessario che la posizione attiva utilizzata dal contribuente in sede di compensazione presenti un insieme di condizioni (patologiche) che manifestano un vizio insanabile. La rappresentazione artificiosa del credito, unita all’impossibilità di accertarne l’inesistenza tramite i controlli previsti dalla normativa, giustifica l’applicazione del termine di prescrizione esteso.

In tali casi l’Amministrazione Finanziaria, per sostenere l’inesistenza, stante la facoltà di accesso alle potenti banche dati di cui dispone, dovrà fornire con motivazioni “rafforzate” l’impossibilità di riscontro della compensazione “anomala” in sede di controllo formale.

Infine, una volta “derubricati” in crediti non spettanti, da valutare anche alla luce della sentenza in commento, si applicherà come previsto dalla legge il termine ordinario di prescrizione, con sanzioni pari al 30% rispetto a quelle previste in caso di inesistenza, che vanno dal 100% al 200%.

Autore: Luigi Romano

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