Le comunicazioni di compliance fiscali, grazie alle banche dati in possesso dell’amministrazione finanziaria, stanno diventando sempre più frequenti, creando non pochi grattacapi sia ai contribuenti che ai professionisti che li assistono.

Molte di queste comunicazioni presentano discrepanze che spesso si rivelano essere il risultato di dati errati, segnalati all’Agenzia delle Entrate, riguardo agli incassi effettuati in moneta elettronica.

Ed è proprio questo il caso di cui ci occuperemo, che sta tenendo banco da qualche settimana.

Entrando nel merito, sono svariate le ragioni per cui i contribuenti possono trovarsi in situazioni, a parere del Fisco, sospette, ma che in realtà sono spiegabili dalla pratica commerciale.

Infatti, l’Agenzia delle Entrate, per snidare gli evasori, ritiene utile l’incrocio giornaliero dei dati tra i corrispettivi dichiarati e gli incassi POS.

Se venisse presa in considerazione una prospettiva annuale, invece, molte delle discrepanze potrebbero risolversi in modo più naturale, considerando gli incassi alla luce dei corrispettivi certificati nell’anno precedente.

C’è poi da considerare un altro aspetto non di poco conto: vi risulta che gli evasori incassino col POS, rendendo tracciabili i flussi?

Si tenga poi presente che esistono anche altre situazioni in cui possono verificarsi scostamenti, che non necessariamente indicano violazioni degli obblighi di certificazione dei corrispettivi, come ad esempio nel caso dei ristoratori o, più in generale, delle attività che chiudono i battenti dopo la mezzanotte; in questi casi, tra chiusure di cassa e data degli incassi POS vi sarà sicuramente una discordanza, con conseguente lettera di compliance!

Si cerca forse di imporre a tutti i contribuenti, anche quelli di minori dimensioni, di tenere una sorta di contabilità ordinaria, che tenga traccia di tutti gli incassi, separandoli in base alla modalità di pagamento, per potersi difendere?

Per non parlare poi di coloro che incassano con POS o bonifico ed emettono fatture, rispetto a chi documenta gli incassi quasi esclusivamente con lo “scontrino”; infatti, i primi possono passare inosservati, poiché il fatturato può senz’altro colmare l’eventuale utilizzo del POS, mentre gli altri, in caso di sfasamento temporale tra scontrino e pagamento, vengono intercettati come soggetti “distratti” che “forse” non hanno correttamente documentato qualche incasso.

Proprio per questo, i più penalizzati sono coloro che utilizzano prevalentemente la moneta elettronica, che da soggetti virtuosi passano, inspiegabilmente, a destinatari di comunicazioni del Fisco, soprattutto nei casi evidenziati in precedenza.

Questo modo di gestire la compliance, complice la “bulimia” di dati acquisiti dalla macchina fiscale, oltre che allontanare sempre più il contribuente dall’idea di un Fisco equo, finirà per disincentivare coloro che hanno scelto di operare con la moneta elettronica, tanto favorita dall’amministrazione finanziaria nella lotta al contante

E proprio per semplificarsi la vita, il piccolo esercente, paradossalmente, potrebbe rispolverare proprio il contante.

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